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Il Papa ci aspetta in Piazza San Pietro   versione testuale

intervista di Avvenire a S.E. Mons. Galantino


«Basta tagli alla scuola per poi sprecare altrove»
«Non è un bancomat», dice Galantino Il segretario Cei: tutti dal Papa il 10 maggio

Chi ha a cuore la scuola, tutta la scuola, solo la scuola, senza agget­tivi né ideologismi, il 10 maggio in Piazza San Pietro non potrà mancare. Co­sì come non potranno mancare i genitori che si interessano davvero dei loro figli, i professori che vogliono svolgere bene la propria professione e quanti pensano che, anche e soprattutto con una scuola all’al­tezza dei suoi compiti, potranno essere for­mati cittadini dotati di spirito critico e dun­que immuni dal fascino del primo vendi­tore di fumo che si affaccia in tivù o su in­ternet. Il vescovo Nunzio Galantino ne è convinto e riassume così, in questa inter­vista ad Avvenire, il senso dell’evento an­nunciato dal cardinale presidente della Cei, Angelo Bagnasco, lunedì scorso. «An­dremo ad ascoltare la voce del Papa – dice il segretario della Conferenza episcopale italiana –. Non certo a rivendicare finan­ziamenti per la scuola cattolica». Ma so­prattutto, aggiunge, «vogliamo lanciare un segnale politico: la scuola non può essere il bancomat da cui, attraverso i tagli, at­tingere il denaro da sprecare in altre dire­zioni ».

Eccellenza, qualcuno ha scritto che que­sta giornata vedrà scendere in piazza i fe­deli per difendere la scuola cattolica. È proprio così?
Assolutamente no. Innanzitutto sgom­briamo il campo da un equivoco che non serve a nessuno. In Italia non c’è una scuo­la cattolica e una scuola laica, ma esiste la
scuola pubblica statale e la scuola pubbli­ca paritaria. Dunque, il 10 maggio sono invitati tutti coloro che hanno a cuore l’im­portanza della scuola per la società e che hanno voglia di liberare la scuola dagli i­deologismi. Noi non andremo in piazza San Pietro per dire: «Vedete quanti siamo? Dateci tutti i soldi che ci spettano». È vero che lo Stato (e chi non fosse sufficiente­mente informato) deve prendere coscien­za, una buona volta, del fatto che la scuo­la pubblica paritaria fa risparmiare 6 mi­liardi e mezzo e, quando va bene, riceve non più di 500 milioni all’anno. Ma la ma­nifestazione, ripeto, non ha questo scopo.

E allora qual è la sua vera identità?
Andremo in piazza San Pietro per sentirci dire una parola chiara dal Papa sul tema della scuola. Poiché tutti riconoscono a Francesco la capacità di dire cose illumi­nanti e profonde, come Chiesa italiana ci siamo chiesti: «Perché non ascoltare cosa ha da dirci affinché la scuola raggiunga i suoi obiettivi, che non sono quelli dell’in­dottrinamento, ma di essere luogo nel qua­le formare persone attrezzate criticamen­te e capaci di progettualità?». Pensiamo in­fatti che questo sia il momento giusto per ritrovarci e ribadirlo. La scuola non se la passa bene, anche perché purtroppo i primi tagli che si fanno riguardano l’educa­zione.

Quindi, l’invito non è solo ai genitori, agli alunni e ai professori delle scuole cat­toliche?
L’invito è per tutti, perché la scuola è una. E tutti dobbia­mo avere a cuore che rag­giunga pienamente il suo scopo. Essa non può essere luogo per promuovere ideo­logismi e non è chiamata solo a dare ri­sposte pronte agli studenti. Non è il prêt­à- porter della vita, ma l’ambiente in cui si offrono gli strumenti critici necessari per mettere il singolo in condizione di affron­tare e di abitare in maniera consapevole e sensata questo mondo. E allora diciamo ai genitori: «Vi interessa il luogo in cui i vo­stri figli trascorrono gran parte delle loro giornate? Vi interessa che siano resi capa­ci di abitare in maniera critica e consape­vole il loro tempo? Vi interessa che venga­no loro forniti gli strumenti per non esse­re preda dell’ultimo avventuriero o vendi­tore ambulante che va in televisione e del­l’ultimo propagandista di talent scout? ». E allora la manifestazione del 10 maggio è per voi, come lo è per i professori e per tut­to il personale di una scuola che non sia so­lo un parcheggio di abusivi, ma abbia la capacità di formare uomini e donne che abitino criticamente la complessità.

Non ci si può nascondere però che un suc­cesso numerico della manifestazione sarà interpretato come un segnale politico...
Se saremo in tanti e se riusciremo ad atti­rare l’attenzione, anche dei politici, sulla scuola, ben venga. Ma è un segnale politi­co, lo ripeto, a favore di tutta la scuola. In­tendiamoci. Il problema della chiusura delle scuole cattoliche esiste e ne ha par­lato anche il cardinale Bagnasco nella sua prolusione al Consiglio permanente della Cei di gennaio. E questo non è un fatto ir­rilevante, perché un genitore deve essere libero di scegliere il luogo in cui suo figlio si forma. Ma non è questo il segnale poli­tico che si intende dare, quanto il far crescere in tut­ti i fruitori della scuola una visione meno ideologizzata, perché oggi la malattia mor­tale della scuola, a destra co­me a sinistra, è la sua ridu­zione a ideologia. Allora, se il 10 maggio, anche grazie alle parole del Papa, chi ci am­ministra capirà che abbiamo bisogno di una scuola libera e capace di formare; e se chi di dovere comprenderà che non si può fare della scuola il bancomat dal quale andare a sottrarre continua­mente risorse per poterle sprecare in altri ambiti, noi avremo ottenuto un grande ri­sultato politico, ma nel senso più nobile del termine, cioè di amore alla polis.

Scuola, lavoro, famiglia e dunque vita ­oggi tra l’altro è la Giornata della vita ­sono stati anche i temi del Consiglio per­manente. Che cosa è emerso?
È emersa tra noi in modo ancora più net­to la consapevolezza che non si tratta di singoli capitoli di un libro, ma di ambiti collegati e interconnessi che potranno cre­scere e svilupparsi solo se li affronteremo con un progetto unico. Prendiamo ad e­sempio la Giornata della vita. Non ridu­ciamola soltanto a un tema che riguarda l’inizio e la fine della vita. Sono convinto che questa giornata verrebbe guardata con maggior favore e troverebbe tantissima ac­coglienza, se cominciassimo a parlare an­che della qualità della vita . Perché è chia­ro che dobbiamo preoccuparci degli aborti e dei tentativi più o meno subdoli di far passare l’eutanasia, ma ci preoccupiamo anche della gente che purtroppo non vive ma sopravvive. Allora, in questa giornata non dobbiamo tendere solo ad aggiunge­re anni alla vita, ma vita agli anni. Cioè, ap­punto, lavorare per la qualità della vita che è frutto di una scuola seria, di una famiglia sana e di un lavoro dignitoso. Se infatti non lavoriamo in questa direzione, chiunque potrebbe dire: «Ma perché mettere al mon­do i figli, se poi non vale la pena di vivere?».

E nella qualità della vita c’è anche la que­stione
Sicuramente. E il Consiglio permanente ha detto una cosa interessantissima che tra l’altro ci fa tornare al tema della scuola. È finito il tempo in cui il lavoro lo si riceve­va per tradizione di famiglia. Oggi serve progettualità. Ed ecco che una scuola al­l’altezza del suo compito educativo deve stimolare la progettualità dei ragazzi. Co­me si vede tutto è collegato. E dobbiamo ragionare in virtù di questi collegamenti. Al contrario continueremo a piangere per­ché si nega la vita, non si vuole la famiglia, non c’è lavoro e la scuola va male. Invece lo sforzo deve essere quello di mettere in­sieme queste polarità.

Poco più di un mese fa la sua nomina a se­gretario generale. Ma continuerà anche ad essere vescovo di Cassano all’Jonio. Co­me vive queste due realtà?
Non sono nuovo a queste “pazzie”. Ero par­roco e insegnavo all’università. L’ho fatto per 36 anni. A un certo punto ero parroco, insegnavo e guidavo un ufficio della Cei. Questo un po’ mi deriva dalla mia storia fa­miliare, perché appartenendo a una fami­glia numerosa, mio padre non aveva i sol­di per tenermi in seminario e allora d’e­state mi toccava procurarmi i soldi. Dun­que il doppio incarico è un po’ nel mio D­na e sono felice che il Papa abbia accon­sentito alla mia esplicita richiesta, perché l’impegno pastorale diretto mi ha sempre aiutato a svolgere bene anche gli altri com­piti. Spero che questo avvenga anche ora.