Che ora è?

«Che ora è?» E’ una domanda estremamente banale, forse la più superficiale, ma ogni tanto chiedere per l’appunto «che ora è?» rinnova in ognuno di noi un ammonimento sempre attuale: non si può perdere il senso della realtà. Certamente questo antico adagio gode di ampia fortuna, ma nel campo dell’educazione assume un significato tutto particolare e decisamente importante. Allora, domandare «che ora è?» non significa solamente raccogliere la smania di definire i protagonisti (nel nostro caso le nuove generazioni) di questo tempo; si tratta, invece, di afferrare il senso profondo del loro agire per capirne i sogni e i desideri, le speranze e le angosce.

Come si fa ad afferrare il senso dell’agire dei ragazzi di oggi? Probabilmente l’espressione «afferrare» si adatta meglio a questa epoca e penetra con maggiore intensità fra le pieghe delle questioni. «Afferrare», infatti, esprime un «giungere con fatica a comprendere»; dipinge un’impresa che provoca fatica e sacrificio. Però, se dovessimo rappresentare icasticamente questo sforzo, ci accorgeremmo che questo compito non deriva solamente dalla complessità dei fenomeni, ma, stuzzicati nella nostra immaginazione, ci lasceremmo proiettare verso il concetto di velocità. Ecco, la velocità è la grande questione del nostro tempo, in particolare in ambito educativo. La «velocità», dunque, non è solamente una variabile o una comodità, ma rappresenta oggi un’insidia antropologica perché ammicca all’uomo del Terzo millennio, offrendo l’opportunità di non fare memoria, di non dare consequenzialità agli istanti che vive, di alleggerire la pesantezza dei legami. Investe, perciò, non solamente l’ambito culturale, ma invade la sfera affettiva, personale e spirituale. In conclusione, la «velocità» non ha a che fare solamente con l’organizzazione produttiva, ma inerisce le dinamiche relazionali ed emotive; insomma, la «velocità» caratterizza il modus vivendi di tanti giovani. E siccome i giovani e la Scuola stanno a cuore alla Chiesa, questi temi meritano un significativo approfondimento.

 

Una scuola per tutti, non uno di meno

Nel 1999, a Venezia, Zhang Yimou vince il Leone d’oro con un film asciutto, quasi spoglio, che narra le vicende della giovanissima maestra Wei, cui viene affidata una classe con la raccomandazione di non far ritirare nemmeno un alunno.

Così, quando il piccolo Zhang sparisce per trovarsi un lavoro, Wei va a cercarlo in città e riesce, anche grazie alla TV, a riportarlo indietro. È una storia bella, in cui una scuola sperduta nella campagna cinese diventa il centro anche simbolico dell’azione, il posto dove i bambini possono essere accolti anche in un contesto di povertà estrema e di grande difficoltà.

È questo lo spirito che anima il blog, un luogo in cui condividere i pensieri, le parole e le emozioni che ci accompagneranno fino all’incontro del 10 maggio con Papa Francesco. Vorremmo una scuola che non lasci indietro nessuno, che sappia custodire ogni alunno e curare ogni relazione, anche quelle più difficili. Una scuola interpellata e sostenuta dalle altre comunità del territorio, in rete
con altre scuole, con le famiglie, con altre comunità.

Non una scuola del “6 politico”, espressione nota a genitori e nonni ma forse ormai scomparsa dal dibattito, né una scuola in cui tutti siano omologati da gadget e comportamenti. Mio padre per mantenersi all’università aveva insegnato in una scuola “privata”, come si diceva allora, e ricordava con affetto il suo preside, che gli diceva: “a fine anno tutti i nostri allievi devono ricevere un premio. Non bisogna premiare solo il più bravo a scuola, ma anche il più bravo nello sport o nelle barzellette”. Bisognava valorizzare ciascun alunno, perché era un modo per riconoscerne pubblicamente l’unicità.

A distanza di mezzo secolo, può sembrare un atteggiamento ingenuo, forse improprio. Eppure considerare la scuola come una comunità accogliente, nella quale tutti – alunni, famiglie, docenti, dirigenti e personale ausiliario – siano coinvolti personalmente, non è una pretesa, è la nostra speranza. La speranza di vedere una scuola che accolga tutti e che interessi a tutti. Non uno di meno.