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Gli studenti, protagonisti attivi nella scuola di Francesco

Questo blog (Non uno di meno) è nato nei mesi precedenti il grande incontro del 10 maggio, per dare voce all’esperienza degli studenti di tutta Italia. Con l’idea che tutti voi, ragazze e ragazzi che oggi vi trovate a scuola, siete il vero cuore della scuola. Così questo spazio è pensato per raccontare esperienze di tutti i giorni, per condividere sogni e fatiche che si vivono dentro le scuole. Tutte le testimonianze sono importanti. Ogni città, ogni scuola, ogni studente qui ha uno spazio per esprimersi. Tutti, non uno di meno.

Le parole che Papa Francesco ci ha donato in quella bellissima festa confermano questa convinzione. Il Santo Padre ha parlato di una scuola che è un grande villaggio. Ricordate quel bel proverbio africano che ripetemmo tutti insieme? «Per educare un figlio ci vuole un villaggio». Così è nella scuola, dove insegnanti, personale e famiglie mettono cura e passione a servizio degli studenti all’interno della grande comunità scolastica. Ma in questo gioco di relazioni, gli studenti non sono dei protagonisti passivi. Tutt’altro!

Pensiamo alle quattro immagini che Francesco ci ha consegnato. Lui ama la scuola per il ricordo dell’amicizia che ha instaurato con la prima insegnante. Un rapporto durato tutta la vita, perché entrambi i protagonisti, lo studente Bergoglio e la maestra, si sono messi in gioco nella scuola con passione e rispetto reciproco. Poi, il Papa ama la scuola perché è «luogo di incontro». Possiamo scegliere come vivere l’incontro con gli altri: se con freddezza e disinteresse, perché in fondo ci importa solo il voto in pagella; o se piuttosto con il nostro calore umano, per trasmettere anche ai compagni «la gioia del Vangelo» che «riempie il cuore e la vita intera» (Evangelii Gaudium, 1). Ancora, il Papa ama la scuola che «apre alla realtà»: e chi meglio degli studenti può portare dentro la scuola la realtà di un mondo che cambia, che sentiamo cambiare nel concreto delle nostre vite di studio, amicizia, impegno? Infine, il Papa ama la scuola perché «educa al vero, al bene, al bello». E mai come nell’età della scuola sentiamo forte il desiderio di verità, di bene comune e di bellezza, da ricercare nello studio e da condividere con i compagni e gli insegnanti.

E allora, la parola ai protagonisti della scuola, gli studenti. Spazio ai vostri racconti, nessuno escluso. Anzi: non uno di meno!

Gioele Anni

Il Papa incontra la scuola…e noi c’eravamo!

Mettersi in viaggio alle 5 di un sabato mattina non è facile: hai bisogno di un sogno che sia più forte del sonno. Non è altrettanto facile stare fermi in un pulmino per tante ore, aspettare facendo la fila davanti a una transenna senza capirne il motivo, mentre la folla si accalca e nemmeno stare sotto il sole di una giornata che sa più di estate che di primavera. Non è stato facile ma ne è valsa la pena. “Ne è valsa la pena” sono le prime parole che riecheggiavano sulle labbra dei ragazzi al termine dell’evento di Piazza San Pietro.

I motivi sono tanti e ognuno ha i suoi. “Tanta gente così tutta insieme non l’avevo mai vista” è una delle cose che ha colpito di più Felix. “Mi è piaciuto – dice Alejandro – il fatto che all’inizio cantavamo e ballavamo ma poi si è passati a discorsi sulla scuola: siamo fortunati ad avere una scuola così organizzata rispetto ad altri paesi del mondo”. Un punto di vista quanto meno anomalo sulla bocca di uno studente.

Prima dell’intervento del papa, la testimonianza che più è piaciuta ai ragazzi dell’oratorio don Bosco di via Adua è stata quella di Yuri Chechi. “Meglio una sconfitta pulita di una vittoria sporca”, sono queste le parole rimaste impresse a loro e non a caso ripetute da Papa Francesco. Uno dei ragazzi mi ha confidato che vincere è bello ma chi vince imbrogliando non può ricevere quella gioia grande di chi vince pulito.

Riguardo a papa Francesco “nessuno di noi aveva mai visto il papa così da vicino e anche la sua voce ti raggiungeva in maniera più diretta: è tutta un’altra cosa”, “un uomo semplice, dai movimenti disinvolti che trasmettevano tranquillità”, “ha salutato tutti andando fino in fondo a via della Conciliazione”, “è un modello di umiltà”, “essere così vicino a lui mi ha fatto sentire importantissimo”.

Fra le parole del papa, semplici e comprensibili da tutti, qualcuno è rimasto colpito di come Francesco fosse rimasto in contatto con la sua insegnante anche una volta terminata gli studi. Proprio lei gli aveva trasmesso la bellezza della scuola.

Un’esperienza ricca ed entusiasmante come questa non può rimanerlo anche nel domani se non si impara a rileggerla, a farne tesoro, a capire cosa ha da dire a tutti gli altri giorni che seguiranno e che si inseguiranno nella routine di tutti i giorni. Pertanto, “due sono le cose mi porto a casa. La prima è di essere cosciente della fortuna che ho nel poter avere un’istruzione, un’opportunità che non posso permettermi di sprecare. La seconda è che dal lato spirituale l’incontro con papa Francesco non mi ha fatto sentire inferiore a lui come all’inizio credevo: ho percepito una sensazione di pari dignità con lui anche se egli è al vertice della Chiesa”.

Le risonanze dei ragazzi sarebbero ancora tante e non è possibile scriverle tutte, anche perché quelle più profonde rimarranno nell’intimo di ciascuno e sono convinto che porteranno molto frutto. Di certo quello che in sintesi si può dire che è che hanno visto una Chiesa bella, dai gesti accoglienti, dal volto sorridente, dai pensieri profondi e soprattutto di un papa povero fra i poveri, semplice fra i semplici, vicino ai lontani, amico di tutti, i cui occhi brillano di fede e di gioia. Insomma un incontro con una persona speciale, pieno di attenzione verso tutti e che ricorda a ciascuno che è degno di essere amato.

Francesco Santarello
Educatore
Oratorio don Bosco di via Adua, Reggio Emilia

Scuola tocca a te!

di Giovanna Ferrara, di Aversa.
Liceo socio-psicopedagogico “Niccolò Jommelli”

Christian era un ragazzo. Christian era un ragazzo come tutti gli altri, con i propri sogni, le proprie speranze e aspirazioni. Erano gli anni Novanta e aveva sedici anni, quando decise di abbandonare la scuola e lo studio per poter lavorare e sentirsi grande.
«Farai soldi, sarai libero», gli dicevano.
La vita, però, non andò proprio così; con l’evoluzione della società, della tecnologia e delle varie aziende, chi non possedeva un titolo di studio superiore non poteva neanche avvicinarsi a un posto decente di lavoro.  Christian andò avanti a lungo, alternando vari lavori part-time e senza impegno.
E ora? Ora come sta Christian?
È stato illuso da sogni troppo vaghi e tradito da una scuola troppo insicura. Non ha fatto soldi, non li ha neanche mai visti. Dovreste vederlo, nei pressi della stazione, vestito con la tuta sporca di pittura, illudendo la gente del paesino e persino sua moglie. Non ha raggiunto la sua amata libertà, perché è stato lasciato all’oscuro di tutto, dell’immensità del mondo e della cultura. E’ un uomo, ormai, senza più alcuna voglia di scoprire il mondo.
Quanti uomini del genere, oggigiorno, ci circondano? Quanti sguardi vuoti e disperati alle prese con una società che tende a emarginare chi non sa? E noi? Sì, noi, cosa facciamo per aiutarli? A noi che la vita è relativamente più semplice e la scuola si avvicina sempre di più alla nostra realtà, perché continuiamo a evitare la possibilità di conoscere ed essere realmente liberi?
Scuola, tu che ruolo hai in tutto questo?
Scuola, tu che hai vissuto fin dall’antichità tutti i processi evolutivi sia dell’uomo che della società, come reagisci a quest’abbandono per una vita migliore che, in fin dei conti, non avverrà mai?
La scuola è il secondo ente di comunicazione con il quale il bambino, nel corso della sua vita, entra in contatto. La maggior parte delle esperienze, si fanno proprio in quel luogo. E’ proprio lì che il bambino, l’adolescente e, successivamente, il giovane adulto, passa la maggior parte del tempo e fa le proprie esperienze. I giovani, gli studenti, ne sono i protagonisti. Sono loro che vivono le frustrazioni date dallo stress, la paura di non essere mai abbastanza, ma anche la gioia di ottenere dei risultati. La scuola, quella con la “S” maiuscola, è capace di influenzare un’intera generazione, creando giovani folli, curiosi di sapere, che un giorno andranno con uno zaino in spalla a vedere il mondo. I giovani della scuola sono coloro che un giorno saranno in grado di rivoluzionare la società, perché solo gli studenti possono farlo e il 1968 ne è un esempio concreto.
Scuola, a meno di un mese dall’incontro tra il Papa e gli studenti, non perdere la possibilità di avvicinare quanti più giovani possibili. Proprio come il figliuol prodigo torna al padre pentito, permetti a coloro che sanno di aver sbagliato, di poter rimediare. Sii come quei servi che nel vangelo di Matteo, mandati dal Re per invitarli alle nozze del figlio, si diressero ai crocicchi delle strade e chiamarono tutti quelli che trovarono. Chiama tutti e aiuta il più possibile, formare e informare, ecco il tuo compito!
Proprio come uno studente, durante la scorsa SFS (Scuola di Formazione Studenti) organizzata dal Movimento Studenti di Azione Cattolica, scriveva:
«Ehi tu, scuola che verrà, ricorda sempre che esisti per uno scopo, una meta importantissima, che è l’accrescimento personale, il sapere. Ricordati di curare la formazione dei tuoi studenti, credendo in loro e nelle loro potenzialità. Ricordati che il tuo compito è appassionare e non angosciare. Ricordati di essere luogo di incontro e di formazione».
E tu, studente, cerca di avvicinarti alla Scuola, di riuscire ad assorbire quell’entusiasmo del sapere e del conoscere, perché solo così raggiungerai la tua libertà e sarai in grado di amare senza giudicare.

Ragazzi, studiate!

di Giuliana Jicmon di Roma
Liceo delle scienze umane Gelasio Caetani

«Ragazzi: Studiate. Anche se nella vita è meglio furbi che colti. Anzi: proprio per questo. Per non arrendersi a chi vi vorrebbe più furbi che colti. Perché la cultura rende liberi, critici e consapevoli. Non rassegnatevi a chi vi vorrebbe opportunisti e docili e senza sogni. Studiate. Meglio precari oggi che servi per sempre». (Ilvo Diamanti)

La cultura rende liberi, critici e consapevoli e la scuola è uno dei migliori strumenti esistenti che ci permette di studiare, di crescere mentalmente ma soprattutto ci permette di sognare! Sognare di diventare un giorno un bravo avvocato, oppure un grande medico, la scuola ci rende liberi di volare con la fantasia, dona a noi le redini del nostro futuro! A volte è difficile vivere la scuola come luogo in cui instaurare relazioni serene, è difficile considerarla come una seconda casa ed è difficile viverla come strumento di vita, ma la scuola è ciò che di più bello abbiamo! Noi ragazzi e giovani abbiamo il dovere e il diritto di difenderla con i denti e con le unghie, di richiedere e pretendere di essere ascoltati di renderla migliore giorno dopo giorno e soprattutto di trarre da essa tutto ciò che di meglio c’è! Imparare ad abitarla insieme è forse uno dei modi migliori per dimostrare a tutti, grandi e piccoli, poveri o ricchi, di tutti i paesi, che la comunione e la condivisione è fatta di piccole cose. La scuola è il ponte che fa da tramite con la vita esterna, deve essere incoraggiata e spronata a dare sempre di più così che continui a formare giovani intelligenti e determinati, cittadini consapevoli e attivi, uomini e donne pronti a mettersi in gioco per migliorare la propria città, il proprio paese e il mondo intero.

Non possiamo fare a meno di accettare la sfida che il nostro tempo ci lancia: vivere la scuola da protagonisti, felici e credenti, consapevoli e credibili, portatori di uno stile che ci contraddistingue: lo stile dell’Amore! Per portare un po’ di Chiesa nella scuola c’è bisogno di questo nuovo stile, c’è bisogno che qualcuno si metta in gioco, che qualcuno ci metta la faccia. Per portare un po’ di Chiesa nella scuola c’è bisogno di noi. E per portare un po’ di scuola nella Chiesa, c’è bisogno di noi!

To be a student: a scuola controcorrente

di Lorenzo e Silvia di Imola
Liceo scientifico Rambaldi-Valeriani

Andare a scuola non è semplice, nessuno può affermare il contrario, ma sono certo che ci si possa andare con uno spirito nuovo, originale, oserei dire: controcorrente!

E’ il caso di Silvia, una ragazza della mia diocesi, Imola. Probabilmente non ci pensava nemmeno che potesse esistere uno stile diverso per affrontare la scuola! Poi, un capodanno dai frati minori ad Assisi e un campo regionale per studenti hanno cambiato la sua visione delle cose.

Al rientro dalla pausa natalizia, Silvia ha pubblicato su Facebook questo post:
«È vero, la scuola è riiniziata e con lei la solita sveglia delle 6.30, delle 6.45 e delle 6.50, il solito freddo cane quando ti togli il meraviglioso e caldissimo piumone di dosso, il caffè più lungo che riesci a farti, il solito e adorato bus che se sei puntuale passa dopo secoli e se sei leggermente in ritardo fisso che lo perdi, l’arrivo a scuola e le solite facce traumatizzate dei tuoi amici, le 5/6 ore che ‘aiuto, uccidetemi, ORA!’.

Tutto è ricominciato, ma sento che ora è diverso. Ho passato le vacanze di Natale più belle che potessi mai passare e credo di essere cresciuta più in questi 14 giorni che in un anno intero. Ho vissuto esperienze che…meno male che le ho vissute! Quelle esperienze che prima sei così e dopo sei un’altra persona, che ti cambiano la vita radicalmente. E ho capito che alzarsi la mattina arrabbiati col mondo perché esiste la scuola e arrivare a scuola che “guai se mi chiedi se ho studiato diritto perché è la volta buona che ti picchio”, non porta da nessuna parte! Ti rovina la giornata e bona! Perché tanto a scuola ci vai lo stesso e la verifica la fai lo stesso.

Noi non andiamo a scuola per il voto, non ci andiamo per sapere che in fisica siamo degli impediti e in inglese pure, ma ci andiamo perché un minimo dobbiamo capire da che parte è girato ‘sto mondo, cosa c’è stato e cosa ci sarà, dobbiamo viverci qui e dobbiamo conoscerlo come se fosse casa nostra, perché è casa nostra! E il voto, per quanto possa essere fondamentale, alla fine non ti dà nulla perché la vita non è un numero. Non dobbiamo accontentarci del minimo, cerchiamo di puntare in alto che di certo dà molte più soddisfazioni e sorrisi!»

Silvia ha iniziato così a vivere la scuola, piuttosto che subirla. Mi sembra allora che “To be a student” sia sempre più una “mission possible”…altro che “impossible”!!!

Realizzare davvero i sogni dell’infanzia

Randy Pausch aveva da poco scoperto d’avere il fegato invaso da venti metastasi e che gli restavano solo pochi mesi da vivere. Anzi, come disse il medico: che «aveva ancora dai tre ai sei mesi di ottima salute». Questo modo di comunicargli la data presunta della morte in maniera positiva è uno degli insegnamenti, tra i molti, che Pausch ha deciso di lasciare ai suoi figli, agli studenti e, ormai, a chiunque voglia leggere L’ultima lezione. La vita spiegata da un uomo che muore, il suo libro-testamento. Così come aveva imparato alla Disney: quando si chiede a che ora chiude Disneyland, ci si sente rispondere che «il parco è aperto fino alle 20».

Randy Pausch colse così l’occasione che gli diede la sua università, la Carnegie Mellon di Pittsburgh, Pennsylvania, che già da tempo organizzava «ultime lezioni» nelle quali i docenti erano chiamati a condensare i punti più importanti della loro scienza. Decise di non rinunciare, anzi, di trasformare quell’occasione da formale manifestazione accademica in lezione di vita. In fondo, è quanto sarebbe chiesto sempre ad ogni insegnante. «Probabilmente molti si aspettavano un discorso sulla morte. Il mio, invece, doveva riguardare la vita».

«Ho riflettuto a lungo su come definirmi: insegnante, informatico, marito, padre, figlio, fratello, mentore per i miei studenti», pensava cercando lo spunto per la sua ultima lezione, il motivo per cui essere ricordato: «Se avessi raccontato la mia storia trasmettendo la passione con cui ho vissuto, allora la mia lezione avrebbe potuto aiutare anche gli altri a trovare la strada per realizzare i propri sogni», concluse. E scrisse agli organizzatori per comunicare il tema della lezione: Realizzare davvero i sogni dell’infanzia.

Mi colpisce come uno stimato professore abbia saputo parlare al cuore di milioni di persone raccontando se stesso in tutta sincerità, anche di aspetti assai intimi della sua esperienza, facendo uso della sua professionalità: tenendo una lectio magistralis all’università. Vita e professione non si sono scisse; la lezione diviene metafora di una vita, per certi versi approdo, per altri mezzo attraverso il quale comunicare ben altro: sogni, aspirazioni, relazioni, successi e fallimenti. Anche l’angoscia della fine imminente.
È per questo, più che per i contenuti delle sue lezioni, che ricordiamo con affetto un professore.

R. Pausch, L’ultima lezione. La vita spiegata da un uomo che muore, con J. Zaslow, Rizzoli, Milano 2008

La lezione su YouTube

A scuola si cresce

di Emanuela da Messina
Liceo Classico “G.B. Impallomeni” – Milazzo

La prima parola che mi viene in mente pensando alla mia esperienza a scuola è CRESCITA: da un punto di vista fisico, morale, educativo, culturale. È a scuola che ho imparato a convivere con persone estranee al nucleo familiare, è a scuola che ho preso i miei primi impegni, è a scuola che ho stretto i primi legami d’amicizia e, perché no, sperimentato le prime cotte. Insomma, la scuola è stato il mio luogo dell’inizio. “Crescita” è una parola che è stata troppo usata, forse proprio perché è quella giusta per indicare quello che è il cammino di uno studente, dal primo giorno delle elementari all’ultimo del liceo. Crescita è la consapevolezza di cambiare se stessi. E quando ti accorgi di stare cambiando, automaticamente nasce la voglia di attivarsi e di cambiare ancora, non perché vuoi fuggire dalla tua personalità, ma perché vuoi crescere ancora in esperienza. Qui entra in gioco anche la mia fede, il vissuto di studentessa del MSAC: portare la propria testimonianza nel luogo che si ha più a cuore secondo me è la forma più alta di crescita, e quella anche più difficile.

Da questo punto di vista la Chiesa (il laicato in primis) ha un ruolo fondamentale nella scuola, i cui abitanti sono non di rado disillusi e sfiduciati in tutto (vedi la situazione economico-politica): come laici abbiamo il compito di colorare quelle aule che nell’ottica comune purtroppo appaiono spesso quelle di un carcere. Sarebbe interessante incrementare i momenti di dialogo interreligioso e aprire dei dibattiti sul tema della spiritualità tra gli studenti; quella che oggi appare come una Chiesa distante dalla scuola, in questo modo potrebbe sembrare più vicina alle persone, indipendentemente da quale sia il loro credo.

Da ‘io’ a ‘noi’: la forza di una classe

di Fabrizio da Vercelli

Alle medie ho avuto una prof fantastica. La sua fama di professoressa severa e intransigente era diffusa già alle elementari e quindi il primo impatto è stato di paura. Poi ho scoperto che non era una professoressa, per così dire, autoritaria, bensì autorevole, era cioè impossibile non pendere dalle sue labbra durante la lezione. Ha saputo trasmettermi cultura e – cosa più importante – passione per lo studio, non inteso come semplice accumulo di sterili informazioni, ma come vivace curiosità, ricerca continua, amore per le cose difficili e criptiche e capacità di collegare le conoscenze per poterne creare di nuove.

Seguendo i suoi consigli, ho scelto di frequentare il liceo classico, altra avventura! Se il latino già lo masticavo alle medie, il greco no!!! Il professore ci riempiva letteralmente di compiti e in molti ne abbiamo sofferto; ma siamo anche diventati una classe.

Alle superiori  ho dovuto espormi di più anche dal punto di vista relazionale. Ho un carattere molto introverso, ma grazie all’aiuto di alcuni compagni, sono riuscito ad aprirmi ed ora parlando della mia vita scolastica non posso che usare il “noi”. Il passaggio da semplice gruppo di studenti eterogenei tra loro a una classe, cioè un gruppo forte e unito, non è semplice, ma è uno degli sforzi più formativi richiesti ad un ragazzo che sta diventando un cittadino. Nella mia esperienza scolastica rientra anche il mio essere rappresentante di classe, un ruolo bellissimo, ma anche carico di responsabilità, poiché bisogna fare da ponte tra la classe e i professori. Ora mi sto avvicinando alla grande impresa della maturità e ci sarà da divertirsi :D

Adesso aspetto l’incontro con Papa Francesco! Cosa c’entra la Chiesa con la scuola? Beh, la Chiesa ha giocato e gioca un ruolo fondamentale nella mio modo di vivere la scuola. Ha il compito fondamentale di formare dei cristiani che siano in grado di essere tali non solo nell’ambito della comunità parrocchiale, ma anche e soprattutto nella vita di tutti i giorni, quindi, per noi ragazzi, nella scuola. Essere cristiani in questa realtà non vuol dire sentirsi diversi dai molti compagni che spesso non frequentano la chiesa o l’oratorio, bensì mettersi al servizio degli altri con generosità e altruismo ed essere parte attiva della scuola, portando con sé e condividendo quel bagaglio di valori cristiani che possono dare una marcia in più.

«Figlio, Figlio, Figlio…»

Tutti gli incontri sono importanti, ma qualcuno di più. Estremamente significativi, ma ancora da potenziare in termini di opportunità sono quelli tra docenti e genitori. Che avvengano sotto forma di consiglio di classe straordinario aperto alle famiglie, oppure individualmente tra docente e genitore, comunque le due attenzioni, quella che proviene dal calore della mura domestiche e quella che abita tra le aule e i corridoi della Scuola, s’incontrano sempre in un preciso punto d’intersezione: il bene e l’avvenire del ragazzo. Da potenziare, come preannunciato, perché molte questioni che animano le accese conversazioni in casa oppure sterilizzano i lunghi silenzi tra genitori e figli lambiscono tante problematiche che si rinnovano ogni mattina sopra i banchi di scuola. Tra queste, senza dubbio, una sottolineatura particolare la merita il concetto di autorità. Se i tornanti della storia hanno reso questa rappresentazione nauseabonda ed oppressiva, eppure il significato di auctoritas (dal verbo augere) ha una profonda radice generativa; si tratta infatti di approfondire meglio l’azione di «far crescere», «aiutare». Dunque, osservando bene, il bisogno di autorità è imprescindibile per l’uomo. L’uomo non può fare a meno di crescere. Certamente la storia e la cultura modellano il bisogno di autorità dell’uomo, ma non possono soffocarne il respiro; sarebbe come soffocare l’uomo. Ma cos’è l’autorità? È un vincolo tra ineguali; i genitori e il figlio, la scuola e gli alunni, per esempio. Spiegando il concetto di autorità, il filosofo Richard Sennett ha scritto che il rifiuto di questo genere di legame non cancella la relazione, ma semplicemente «usa il reale per dare forma all’ideale»; insomma, per semplificare si può aggiungere che a tanta “ribellione”, comunque, corrisponde tanta “dipendenza”. Dunque, due facce dello stesso problema: da una parte l’unione e ciò che lega le parti, dall’altra, invece, la sensazione di una disparità, di un’ineguaglianza. Che fare, allora? Come irrobustire il legame? Inasprendo la disparità oppure rafforzando il vincolo? Il trucco sta proprio lì. C’è da lavorare sul rapporto, ripartendo proprio dal legame primordiale: la figliolanza. Ecco perché famiglie e Scuola devono camminare insieme. Più s’impara a riconoscere la bellezza di esser figli, più ci si appassiona ad un cammino di crescita.