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Realizzare davvero i sogni dell’infanzia

Randy Pausch aveva da poco scoperto d’avere il fegato invaso da venti metastasi e che gli restavano solo pochi mesi da vivere. Anzi, come disse il medico: che «aveva ancora dai tre ai sei mesi di ottima salute». Questo modo di comunicargli la data presunta della morte in maniera positiva è uno degli insegnamenti, tra i molti, che Pausch ha deciso di lasciare ai suoi figli, agli studenti e, ormai, a chiunque voglia leggere L’ultima lezione. La vita spiegata da un uomo che muore, il suo libro-testamento. Così come aveva imparato alla Disney: quando si chiede a che ora chiude Disneyland, ci si sente rispondere che «il parco è aperto fino alle 20».

Randy Pausch colse così l’occasione che gli diede la sua università, la Carnegie Mellon di Pittsburgh, Pennsylvania, che già da tempo organizzava «ultime lezioni» nelle quali i docenti erano chiamati a condensare i punti più importanti della loro scienza. Decise di non rinunciare, anzi, di trasformare quell’occasione da formale manifestazione accademica in lezione di vita. In fondo, è quanto sarebbe chiesto sempre ad ogni insegnante. «Probabilmente molti si aspettavano un discorso sulla morte. Il mio, invece, doveva riguardare la vita».

«Ho riflettuto a lungo su come definirmi: insegnante, informatico, marito, padre, figlio, fratello, mentore per i miei studenti», pensava cercando lo spunto per la sua ultima lezione, il motivo per cui essere ricordato: «Se avessi raccontato la mia storia trasmettendo la passione con cui ho vissuto, allora la mia lezione avrebbe potuto aiutare anche gli altri a trovare la strada per realizzare i propri sogni», concluse. E scrisse agli organizzatori per comunicare il tema della lezione: Realizzare davvero i sogni dell’infanzia.

Mi colpisce come uno stimato professore abbia saputo parlare al cuore di milioni di persone raccontando se stesso in tutta sincerità, anche di aspetti assai intimi della sua esperienza, facendo uso della sua professionalità: tenendo una lectio magistralis all’università. Vita e professione non si sono scisse; la lezione diviene metafora di una vita, per certi versi approdo, per altri mezzo attraverso il quale comunicare ben altro: sogni, aspirazioni, relazioni, successi e fallimenti. Anche l’angoscia della fine imminente.
È per questo, più che per i contenuti delle sue lezioni, che ricordiamo con affetto un professore.

R. Pausch, L’ultima lezione. La vita spiegata da un uomo che muore, con J. Zaslow, Rizzoli, Milano 2008

La lezione su YouTube

Credere nella scuola

29 chilometri a piedi ogni giorno, ormai già 1600 negli ultimi anni. E per andare dove? A scuola. E poi al lavoro.
La storia, sebbene ambientata in un mondo – non solo e non tanto in senso geografico – agli antipodi del nostro, è ormai nota a tutti, da quando per primo il Daily Mail l’ha proposta all’opinione pubblica dell’Occidente. In poche ore tutto il mondo già ne parlava commosso, o almeno colpito, perché storie di questo tipo era da tanto che non se ne sentivano. Sbagliando, per altro perché, come ricordava il Corriere della sera mercoledì 12 marzo, casi analoghi purtroppo non sono infrequenti e tanti sono ancora i bambini che, nel mondo, il diritto all’istruzione se lo devono davvero sudare, attraversando quotidianamente foreste, valli e passi d’alta montagna, fiumi e canyon per poter seguire le lezioni. È stato già definito, il povero signor Yu Xukang, il «padre dell’anno». Probabilmente lui ancora non lo sa, ma più che dell’anno, gli importa essere padre nella vita.
Che cosa lo spinge infatti a sacrificarsi in questa maniera se non l’amore per il figlio Xiao Qiang e la speranza, forse l’illusione, che la scuola possa cambiarne la sorte, che a molti sembrerebbe già segnata?
Al di là dell’amore paterno, che ci è in fondo comprensibile, è la fede nel potere dell’istruzione a colpire la nostra immaginazione: abitassimo anche noi nella prefettura di Yibin, nella provincia cinese del Sichuan, saremmo disposti a scommettere sul fatto che la scuola può realmente offrire un’opportunità a un bambino handicappato (a dodici anni Xiao Qiang non raggiunge il metro d’altezza e non è in grado di camminare)? Avremmo tanta fede da sperare in un posto all’università, se in tanti anni le autorità non sono state in grado neppure di mettergli a disposizione un servizio navetta? Quel padre infatti pensa già all’università per il figlio! Lì, tra i monti, la terra e le pietre, dove non passa nemmeno un’auto cui chiedere un passaggio.
La nostra sensibilità ci farebbe dire che, se uno nasce povero e disabile sulle colline del Sichuan con la scuola più vicina a 4,5 miglia di sterrato, per lui un futuro non c’è. Che tutta la retorica sulla scuola come mezzo di promozione sociale, di eguaglianza, altro non è, appunto, che vuota retorica. Lo dimostra, per esempio, l’alto tasso di dispersione scolastica che caratterizza il nostro Paese: secondo l’Istat (dati relativi all’anno 2011-12), da noi il 17,6% dei giovani, con punte del 25% nel Mezzogiorno, si limita alla licenza media, e appena il 30% dei diplomati si iscrive all’università, sebbene le statistiche dimostrino che, bene o male, i laureati trovano lavoro più facilmente degli altri.
Nell’accompagnare a scuola i nostri figli o nel consigliarli sugli studi da intraprendere, prendiamoci qualche istante per pensare al signor Yu e alle sue giornate: casa, scuola, lavoro, scuola, casa, in un folle pellegrinare attraverso la vita. Se sembra inutile il suo paziente girovagare sui sentieri polverosi della prefettura di Yibin, pensiamo che il suo non è semplicemente un andare su e giù, ma l’andare avanti dell’umanità.

«Figlio, Figlio, Figlio…»

Tutti gli incontri sono importanti, ma qualcuno di più. Estremamente significativi, ma ancora da potenziare in termini di opportunità sono quelli tra docenti e genitori. Che avvengano sotto forma di consiglio di classe straordinario aperto alle famiglie, oppure individualmente tra docente e genitore, comunque le due attenzioni, quella che proviene dal calore della mura domestiche e quella che abita tra le aule e i corridoi della Scuola, s’incontrano sempre in un preciso punto d’intersezione: il bene e l’avvenire del ragazzo. Da potenziare, come preannunciato, perché molte questioni che animano le accese conversazioni in casa oppure sterilizzano i lunghi silenzi tra genitori e figli lambiscono tante problematiche che si rinnovano ogni mattina sopra i banchi di scuola. Tra queste, senza dubbio, una sottolineatura particolare la merita il concetto di autorità. Se i tornanti della storia hanno reso questa rappresentazione nauseabonda ed oppressiva, eppure il significato di auctoritas (dal verbo augere) ha una profonda radice generativa; si tratta infatti di approfondire meglio l’azione di «far crescere», «aiutare». Dunque, osservando bene, il bisogno di autorità è imprescindibile per l’uomo. L’uomo non può fare a meno di crescere. Certamente la storia e la cultura modellano il bisogno di autorità dell’uomo, ma non possono soffocarne il respiro; sarebbe come soffocare l’uomo. Ma cos’è l’autorità? È un vincolo tra ineguali; i genitori e il figlio, la scuola e gli alunni, per esempio. Spiegando il concetto di autorità, il filosofo Richard Sennett ha scritto che il rifiuto di questo genere di legame non cancella la relazione, ma semplicemente «usa il reale per dare forma all’ideale»; insomma, per semplificare si può aggiungere che a tanta “ribellione”, comunque, corrisponde tanta “dipendenza”. Dunque, due facce dello stesso problema: da una parte l’unione e ciò che lega le parti, dall’altra, invece, la sensazione di una disparità, di un’ineguaglianza. Che fare, allora? Come irrobustire il legame? Inasprendo la disparità oppure rafforzando il vincolo? Il trucco sta proprio lì. C’è da lavorare sul rapporto, ripartendo proprio dal legame primordiale: la figliolanza. Ecco perché famiglie e Scuola devono camminare insieme. Più s’impara a riconoscere la bellezza di esser figli, più ci si appassiona ad un cammino di crescita.