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Qualche buona notizia dai test PISA

L’Italia, sebbene rimanga ancora al di sotto della media OCSE, è uno dei Paesi che ha registrato i più notevoli progressi nell’apprendimento della matematica e delle scienze. Questo è quel che dicono i risultati dei test PISA (Programme for International Student Assesment) condotti nel 2012 (le rilevazioni vengono fatte ogni tre anni a partire dal 2000) su un ampio campione di quindicenni di quarantaquattro Paesi, prendendo in esame le competenze in matematica, scienze, lettura e problem solving.
Il risultato medio in matematica degli studenti italiani, paragonabile a quello di Paesi come Russia, Stati Uniti, Norvegia, Spagna e Portogallo, è in crescita di ben venti punti (numeri assoluti) rispetto alla rilevazione del 2003, con un’impennata tra 2006 e 2009. Le maggiori difficoltà sono state rilevate nelle prove in cui si chiedevano formulazioni matematiche, mentre i risultati si sono mostrati in linea con quelli internazionali laddove venivano richieste interpretazioni, applicazioni e valutazioni. Purtroppo sono vistose le differenze territoriali: i ragazzi del Triveneto hanno ottenuto risultati superiori, e non di poco, non solo alla media nazionale, ma anche a quella OCSE. Anche la discrepanza tra maschi e femmine desta qualche preoccupazione: i maschi hanno fatto 18 punti in più delle femmine, rispetto agli 11 registrati negli altri Paesi. Il dato si ribalta per quanto riguarda invece la lettura, confermando un antico stereotipo: le ragazze hanno totalizzato 39 punti in più, ma il dato è in linea con i 38 della media OCSE. Nella lettura i ragazzi lombardi, veneti e trentini superano però di molto il dato internazionale.
Dopo queste considerazioni di carattere tecnico, la relazione presenta qualche nota che si potrebbe definire politica: la spesa pubblica italiana per la scuola è diminuita dell’8% tra il 2001 e il 2010, e nel destinare all’istruzione meno danaro siamo in compagnia soltanto di Islanda e Messico. Qualche ragionamento andrebbe però fatto anche su come questi soldi vengono investiti: i nostri 50.000 dollari a studente sono pari a quelli di Singapore, ma in matematica i nostri ragazzi hanno preso 485 punti, nell’isola 573.
A proposito di spese, l’OCSE nota che le nostre scuole godono di troppo poca autonomia, non avendo modo di incidere, per esempio, sul rendimento e la condotta dei propri docenti. È uno spunto per chi crede nella libertà dell’educazione, specie alla luce del grande divario che c’è non solo da regione a regione, ma anche da scuola a scuola, con la tendenza perciò a creare ghetti. Solo il 69% degli studenti è soddisfatto della propria scuola: negli altri Paesi è il 78%. Alti sono i tassi d’assenteismo e i ritardi alle lezioni, con maggiore incidenza fra gli studenti più fragili dal punto di vista socio-economico, il 18,4% della popolazione scolastica; il 17% dei nostri quindicenni ha ripetuto almeno un anno, rispetto al 12% dell’estero.
C’è poi un dato che potrebbe destare qualche curiosità. Siamo sopra la media OCSE per l’iscrizione alle scuole materne, dal momento che solo il 4% dei nostri studenti non le ha frequentate, rispetto al dato internazionale del 7%: parrà strano, ma chi ha fatto l’asilo ha ottenuto 25 punti in più nelle prove di matematica sostenute a 15 anni rispetto a chi all’asilo non era andato, segno che la predisposizione a imparare ha radici profonde.

Ulteriori informazioni si possono reperire qui

Scuola tocca a te!

di Giovanna Ferrara, di Aversa.
Liceo socio-psicopedagogico “Niccolò Jommelli”

Christian era un ragazzo. Christian era un ragazzo come tutti gli altri, con i propri sogni, le proprie speranze e aspirazioni. Erano gli anni Novanta e aveva sedici anni, quando decise di abbandonare la scuola e lo studio per poter lavorare e sentirsi grande.
«Farai soldi, sarai libero», gli dicevano.
La vita, però, non andò proprio così; con l’evoluzione della società, della tecnologia e delle varie aziende, chi non possedeva un titolo di studio superiore non poteva neanche avvicinarsi a un posto decente di lavoro.  Christian andò avanti a lungo, alternando vari lavori part-time e senza impegno.
E ora? Ora come sta Christian?
È stato illuso da sogni troppo vaghi e tradito da una scuola troppo insicura. Non ha fatto soldi, non li ha neanche mai visti. Dovreste vederlo, nei pressi della stazione, vestito con la tuta sporca di pittura, illudendo la gente del paesino e persino sua moglie. Non ha raggiunto la sua amata libertà, perché è stato lasciato all’oscuro di tutto, dell’immensità del mondo e della cultura. E’ un uomo, ormai, senza più alcuna voglia di scoprire il mondo.
Quanti uomini del genere, oggigiorno, ci circondano? Quanti sguardi vuoti e disperati alle prese con una società che tende a emarginare chi non sa? E noi? Sì, noi, cosa facciamo per aiutarli? A noi che la vita è relativamente più semplice e la scuola si avvicina sempre di più alla nostra realtà, perché continuiamo a evitare la possibilità di conoscere ed essere realmente liberi?
Scuola, tu che ruolo hai in tutto questo?
Scuola, tu che hai vissuto fin dall’antichità tutti i processi evolutivi sia dell’uomo che della società, come reagisci a quest’abbandono per una vita migliore che, in fin dei conti, non avverrà mai?
La scuola è il secondo ente di comunicazione con il quale il bambino, nel corso della sua vita, entra in contatto. La maggior parte delle esperienze, si fanno proprio in quel luogo. E’ proprio lì che il bambino, l’adolescente e, successivamente, il giovane adulto, passa la maggior parte del tempo e fa le proprie esperienze. I giovani, gli studenti, ne sono i protagonisti. Sono loro che vivono le frustrazioni date dallo stress, la paura di non essere mai abbastanza, ma anche la gioia di ottenere dei risultati. La scuola, quella con la “S” maiuscola, è capace di influenzare un’intera generazione, creando giovani folli, curiosi di sapere, che un giorno andranno con uno zaino in spalla a vedere il mondo. I giovani della scuola sono coloro che un giorno saranno in grado di rivoluzionare la società, perché solo gli studenti possono farlo e il 1968 ne è un esempio concreto.
Scuola, a meno di un mese dall’incontro tra il Papa e gli studenti, non perdere la possibilità di avvicinare quanti più giovani possibili. Proprio come il figliuol prodigo torna al padre pentito, permetti a coloro che sanno di aver sbagliato, di poter rimediare. Sii come quei servi che nel vangelo di Matteo, mandati dal Re per invitarli alle nozze del figlio, si diressero ai crocicchi delle strade e chiamarono tutti quelli che trovarono. Chiama tutti e aiuta il più possibile, formare e informare, ecco il tuo compito!
Proprio come uno studente, durante la scorsa SFS (Scuola di Formazione Studenti) organizzata dal Movimento Studenti di Azione Cattolica, scriveva:
«Ehi tu, scuola che verrà, ricorda sempre che esisti per uno scopo, una meta importantissima, che è l’accrescimento personale, il sapere. Ricordati di curare la formazione dei tuoi studenti, credendo in loro e nelle loro potenzialità. Ricordati che il tuo compito è appassionare e non angosciare. Ricordati di essere luogo di incontro e di formazione».
E tu, studente, cerca di avvicinarti alla Scuola, di riuscire ad assorbire quell’entusiasmo del sapere e del conoscere, perché solo così raggiungerai la tua libertà e sarai in grado di amare senza giudicare.

Ragazzi, studiate!

di Giuliana Jicmon di Roma
Liceo delle scienze umane Gelasio Caetani

«Ragazzi: Studiate. Anche se nella vita è meglio furbi che colti. Anzi: proprio per questo. Per non arrendersi a chi vi vorrebbe più furbi che colti. Perché la cultura rende liberi, critici e consapevoli. Non rassegnatevi a chi vi vorrebbe opportunisti e docili e senza sogni. Studiate. Meglio precari oggi che servi per sempre». (Ilvo Diamanti)

La cultura rende liberi, critici e consapevoli e la scuola è uno dei migliori strumenti esistenti che ci permette di studiare, di crescere mentalmente ma soprattutto ci permette di sognare! Sognare di diventare un giorno un bravo avvocato, oppure un grande medico, la scuola ci rende liberi di volare con la fantasia, dona a noi le redini del nostro futuro! A volte è difficile vivere la scuola come luogo in cui instaurare relazioni serene, è difficile considerarla come una seconda casa ed è difficile viverla come strumento di vita, ma la scuola è ciò che di più bello abbiamo! Noi ragazzi e giovani abbiamo il dovere e il diritto di difenderla con i denti e con le unghie, di richiedere e pretendere di essere ascoltati di renderla migliore giorno dopo giorno e soprattutto di trarre da essa tutto ciò che di meglio c’è! Imparare ad abitarla insieme è forse uno dei modi migliori per dimostrare a tutti, grandi e piccoli, poveri o ricchi, di tutti i paesi, che la comunione e la condivisione è fatta di piccole cose. La scuola è il ponte che fa da tramite con la vita esterna, deve essere incoraggiata e spronata a dare sempre di più così che continui a formare giovani intelligenti e determinati, cittadini consapevoli e attivi, uomini e donne pronti a mettersi in gioco per migliorare la propria città, il proprio paese e il mondo intero.

Non possiamo fare a meno di accettare la sfida che il nostro tempo ci lancia: vivere la scuola da protagonisti, felici e credenti, consapevoli e credibili, portatori di uno stile che ci contraddistingue: lo stile dell’Amore! Per portare un po’ di Chiesa nella scuola c’è bisogno di questo nuovo stile, c’è bisogno che qualcuno si metta in gioco, che qualcuno ci metta la faccia. Per portare un po’ di Chiesa nella scuola c’è bisogno di noi. E per portare un po’ di scuola nella Chiesa, c’è bisogno di noi!

Che ora è?

«Che ora è?» E’ una domanda estremamente banale, forse la più superficiale, ma ogni tanto chiedere per l’appunto «che ora è?» rinnova in ognuno di noi un ammonimento sempre attuale: non si può perdere il senso della realtà. Certamente questo antico adagio gode di ampia fortuna, ma nel campo dell’educazione assume un significato tutto particolare e decisamente importante. Allora, domandare «che ora è?» non significa solamente raccogliere la smania di definire i protagonisti (nel nostro caso le nuove generazioni) di questo tempo; si tratta, invece, di afferrare il senso profondo del loro agire per capirne i sogni e i desideri, le speranze e le angosce.

Come si fa ad afferrare il senso dell’agire dei ragazzi di oggi? Probabilmente l’espressione «afferrare» si adatta meglio a questa epoca e penetra con maggiore intensità fra le pieghe delle questioni. «Afferrare», infatti, esprime un «giungere con fatica a comprendere»; dipinge un’impresa che provoca fatica e sacrificio. Però, se dovessimo rappresentare icasticamente questo sforzo, ci accorgeremmo che questo compito non deriva solamente dalla complessità dei fenomeni, ma, stuzzicati nella nostra immaginazione, ci lasceremmo proiettare verso il concetto di velocità. Ecco, la velocità è la grande questione del nostro tempo, in particolare in ambito educativo. La «velocità», dunque, non è solamente una variabile o una comodità, ma rappresenta oggi un’insidia antropologica perché ammicca all’uomo del Terzo millennio, offrendo l’opportunità di non fare memoria, di non dare consequenzialità agli istanti che vive, di alleggerire la pesantezza dei legami. Investe, perciò, non solamente l’ambito culturale, ma invade la sfera affettiva, personale e spirituale. In conclusione, la «velocità» non ha a che fare solamente con l’organizzazione produttiva, ma inerisce le dinamiche relazionali ed emotive; insomma, la «velocità» caratterizza il modus vivendi di tanti giovani. E siccome i giovani e la Scuola stanno a cuore alla Chiesa, questi temi meritano un significativo approfondimento.

 

Una scuola per tutti, non uno di meno

Nel 1999, a Venezia, Zhang Yimou vince il Leone d’oro con un film asciutto, quasi spoglio, che narra le vicende della giovanissima maestra Wei, cui viene affidata una classe con la raccomandazione di non far ritirare nemmeno un alunno.

Così, quando il piccolo Zhang sparisce per trovarsi un lavoro, Wei va a cercarlo in città e riesce, anche grazie alla TV, a riportarlo indietro. È una storia bella, in cui una scuola sperduta nella campagna cinese diventa il centro anche simbolico dell’azione, il posto dove i bambini possono essere accolti anche in un contesto di povertà estrema e di grande difficoltà.

È questo lo spirito che anima il blog, un luogo in cui condividere i pensieri, le parole e le emozioni che ci accompagneranno fino all’incontro del 10 maggio con Papa Francesco. Vorremmo una scuola che non lasci indietro nessuno, che sappia custodire ogni alunno e curare ogni relazione, anche quelle più difficili. Una scuola interpellata e sostenuta dalle altre comunità del territorio, in rete
con altre scuole, con le famiglie, con altre comunità.

Non una scuola del “6 politico”, espressione nota a genitori e nonni ma forse ormai scomparsa dal dibattito, né una scuola in cui tutti siano omologati da gadget e comportamenti. Mio padre per mantenersi all’università aveva insegnato in una scuola “privata”, come si diceva allora, e ricordava con affetto il suo preside, che gli diceva: “a fine anno tutti i nostri allievi devono ricevere un premio. Non bisogna premiare solo il più bravo a scuola, ma anche il più bravo nello sport o nelle barzellette”. Bisognava valorizzare ciascun alunno, perché era un modo per riconoscerne pubblicamente l’unicità.

A distanza di mezzo secolo, può sembrare un atteggiamento ingenuo, forse improprio. Eppure considerare la scuola come una comunità accogliente, nella quale tutti – alunni, famiglie, docenti, dirigenti e personale ausiliario – siano coinvolti personalmente, non è una pretesa, è la nostra speranza. La speranza di vedere una scuola che accolga tutti e che interessi a tutti. Non uno di meno.