Don Bosco: una gioia che vive ancora

Si festeggia quest’anno il bicentenario della nascita di San Giovanni Bosco. Giovanni Benetton, studente del liceo padovano dedicato al santo, ne riassume la missione educativa.
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Il liceo Don Bosco di Padova è una scuola e al tempo stesso una comunità e una grande famiglia. Come ogni altro istituto richiede impegno, costanza e dedizione, ma – vi assicuro – lascia spazio anche per attività di crescita personale ed esperienze formative di classe. Ciò che più mi colpisce di questa realtà è l’attenzione per ciascuno; si dialoga, si discute, si cerca una soluzione verso un obiettivo condiviso. La partecipazione di ognuno, dalle assemblee di istituto al torneo di calcetto, dalla messa di apertura alla festa del grazie, è la chiave vincente per la bellezza e la serenità dell’ambiente scolastico. Bellezza e serenità che si intersecano insieme grazie all’impronta che don Bosco diede ai suoi istituti e alle persone che, nel corso degli anni e ancora oggi, lo ricordano in tutto ciò che fanno. 
200 anni fa nacque Don Bosco, ma la sua gioia continua a vivere nelle nostre attività e nei nostri numerosi progetti.
Giovanni Benetton

Aiutiamo i ragazzi a sbocciare nella vita

Ancora tre settimane di tempo per le iscrizioni. Il 15 febbraio si avvicina, e oggi (dopo l’intervento degli studenti e di un genitore) tocca a un docente esprimere il proprio punto di vista. Secondo Maria Graziano, professoressa di Formia, l’insegnante ha il compito di guidare i ragazzi a capire il proprio progetto di vita.

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Sono appena tornata da un’esperienza di “Open day” organizzata dal mio istituto, il Liceo Classico “Vitruvio Pollione” di Formia, e sono compiaciuta del fatto che anche oggi abbiamo sperimentato l’attenzione e la considerazione del territorio per la nostra istituzione. Di anno in anno, queste iniziative sono sempre più frequentate, perché le famiglie e i ragazzi sono sempre più ansiosi di capire quale indirizzo di studi corrisponda alle proprie attese, quale tipo di apprendimenti e di vissuti condurrà gli adolescenti a “sbocciare” nella vita, in un contesto sociale e culturale che appare spesso “col fiato corto”, senza futuro, senza prospettive …

Come ogni giorno, con i colleghi che hanno animato l’iniziativa, ci siamo messi in gioco; abbiamo condiviso non solo il cuore delle nostre proposte ma il nostro cuore… Come possono essere accompagnati ogni giorno i ragazzi che si stanno affacciando da noi per capire qual è il loro progetto di vita? E poi come aiutare le giovani generazioni a capire che la scelta della scuola superiore, in questi giorni, non è irreversibile, ma consente il confronto con educatori adulti interessati alla loro persona, prima che alla logica aziendale dell’aumento delle iscrizioni?

Io credo che un istituto superiore innamorato dei ragazzi di oggi, della loro educazione, appassionato del presente, oltre che del futuro, delle nuove generazioni, abbia le seguenti caratteristiche.

La scuola è chiamata a trasmettere cultura e, attraverso questa, il ragazzo si forma e si educa: solo credendo che i contenuti culturali delle materie scolastiche siano parte evoluta della storia umana, la scuola può trasmetterli come valore. D’altro canto non c’è didattica senza relazione, ma questa non s’identifica con atteggiamenti di protezione o di ruolo genitoriale; è, invece, prima di tutto, accettazione dell’altro. Si tratta di un rapporto non sempre facile ma, perché la scuola trasmetta i valori, è ben più fruttuoso promuovere il positivo, anziché demonizzare il negativo, cioè è preferibile favorire le condizioni di benessere piuttosto che puntare l’attenzione sulle occasioni di disagio. In questa relazione educativa, l’insegnante si mostra così com’è: non appare come il maestro di vita perfetto a tutti i costi, ma piuttosto è sincero e leale, senza reticenze o ipocrisie, perché educa a questi valori anche con i propri difetti.

Il primo compito del docente è insegnare: se lo fa bene, cioè con puntualità, competenza, precisione, organizzazione, imparzialità, trasmette valori. Un insegnante superficiale e poco preparato corre il rischio di essere ignorato e deriso; un docente serio e consapevole del suo ruolo educativo stabilisce relazioni serene ed è in grado di offrire spunti per l’espressione dei ragazzi a partire dalle stesse materie, oggetto di studi: se hanno un problema, i ragazzi si rivolgono più facilmente a un adulto significativo, che giudicano capace di ascoltare ma anche di confrontarsi con i più giovani con la libertà generata da un profondo equilibrio. Per trasmettere valori come la solidarietà e il rispetto dell’altro, un insegnante non alimenta stili di competizione per far crescere il profitto; abilita, invece, al lavoro intellettuale serio, evitando di rinforzare il confronto in termini di sanzioni o gratificazioni, ben sapendo che il ragazzo che oggi bada solo a primeggiare, domani forse si occuperà solo dei propri affari. Inoltre un docente che crede nella propria professione troverà più facilmente strumenti e occasioni per coinvolgere le famiglie e rendere così efficaci i propri interventi, nella consapevolezza che anche la comunicazione tra docenti che condividono la relazione con gli stessi ragazzi, pur nel rispetto di ogni sensibilità, avvia e potenzia esperienze di dialogo con queste e con gli stessi alunni.

Mentre, da un lato, occorre aprirsi sempre più ad una concezione di educazione come sistema, come un insieme di “luoghi” (famiglia, scuola, parrocchia, associazioni ecc.) in relazione, ciascuno dei quali porta un contributo specifico all’obiettivo comune, che è la maturazione umana integrale del ragazzo e del giovane, dall’altro urge la necessità di riappropriarsi della consapevolezza della centralità educativa della scuola, proponendo e condividendo riflessioni sulle scelte che la caratterizzano oggi, da qualsiasi prospettiva essa interpelli la nostra vita.

 Maria Graziano

Ma chi è mio figlio?

Continuiamo a riflettere sul tema delle iscrizioni: si è aperto il tempo della scelta, e fino al 15 febbraio ragazzi e famiglie sono chiamati a prendere le proprie decisioni.
Il secondo intervento, dopo il contributo degli studenti, ha il punto di vista del genitore: Maria Grazia Colombo, membro dell’esecutivo nazionale AGESC e del direttivo nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, si pone una domanda: ma chi è mio figlio?

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E’ tempo di Open Day, le scuole si aprono , si organizzano incontri di presentazione nei quali si mettono in “mostra” le proposte formative, si incontrano gli insegnanti. E noi genitori accompagniamo i nostri figli da una scuola all’altra con una domanda: che scuola scegliere, come valutare la scelta, cosa vogliamo per il bene dei nostri figli?

L’occasione di incontro delle varie esperienze scolastiche è molto importante e diventa una possibilità concreta per “entrare” nella scuola, ascoltare altri ragazzi raccontare della propria scuola, conoscere i dirigenti che spesso si isolano nei loro uffici carichi di grosse responsabilità all’apparenza solo organizzative. Si entra nel cuore dell’esperienza didattica ed educativa. Per un giorno o per pochi giorni le scuole aprono le porte, non solo in modo simbolico ma reale, interattivo e tu capisci che la scuola è di tutti: studenti, docenti e genitori. Un’alleanza che se funziona – e in particolare è leale – permette la crescita di ragazzi protagonisti della loro vita.

In famiglia si parla molto in questi giorni della “scelta”, a tavola è l’argomento più gettonato, per noi genitori senz’altro la preoccupazione primaria. A noi interessa infatti il bene di nostro figlio e quindi la possibilità che possa incontrare un’esperienza formativa che lo faccia crescere nella conoscenza, sviluppi un senso critico, gli faccia fare la fatica dell’imparare accompagnata dalla curiosità del sapere.

Ma la domanda rimane: quale indirizzo scegliere che risponda maggiormente alle caratteristiche di nostro figlio? A questa domanda non possiamo e non dobbiamo rispondere da soli, la scelta infatti cade in un momento particolare della vita del ragazzo che ha già fatto un percorso scolastico importante e noi, come adulti attenti, non possiamo e non dobbiamo dimenticarlo. Educare è porre un passo dopo l’altro, magari tutti i passi non sono stati della stessa misura ma non importa, il punto è che educativamente il ragazzo abbia camminato, fatto scelte, individuato con i propri insegnanti delle “medie” percorsi e intravisto progetti futuri studiando italiano, matematica, storia, musica, arte ed educazione fisica…

Non dobbiamo commettere il grave errore di pensare alla scelta come ad un ricominciare da capo, un azzerare tutto per guardare avanti. I nostri ragazzi sono quaderni scritti, non quaderni bianchi. Il punto è saper leggere ciò che c’è scritto, a volte appaiono solo dei segni ma il compito nostro, come genitori, è di saperli leggere, interpretare e suscitare il desiderio di guardarsi dentro per cogliere la “domanda” che muove la scelta. A volte, carichi di preoccupazioni quotidiane, in famiglia siamo piegati sulla soluzione della scelta della scuola e perdiamo la sfida che si nasconde nella “domanda”: ma chi è mio figlio? È una questione di sguardo, di occhio clinico che noi genitori abbiamo, uno sguardo che va in profondità e fa emergere il vissuto denso di aspettative, progetti, ideali che un adolescente custodisce gelosamente nella propria persona.

L’esperienza ci insegna che non siamo soli, gli insegnanti che abbiamo a fianco sono i nostri migliore alleati in questa scelta, perciò è conveniente per noi fare sempre un gioco di squadra. Si parla di corresponsabilità educativa, si stringe pure nella scuola un “patto di corresponsabilità” tra docenti e genitori, ebbene l’occasione della scelta della scuola diventa una sfida interessante per tutti: dobbiamo saperla però cogliere non solo come preoccupazione, ma come una reale e appassionante opportunità educativa.

Maria Grazia Colombo

Scuole superiori? Tre suggerimenti per non sbagliare

Comincia un nuovo anno, ed è tempo di iscrizioni alle scuole di ogni ordine e grado. Dal 15 gennaio al 15 febbraio, migliaia di studenti e famiglie sono chiamati a una decisione importante.
Raccoglieremo nel blog alcuni spunti di riflessione. Cominciamo con il punto di vista degli studenti, in particolare riguardo alla delicata scelta della scuola superiore. Silvia dalla Sicilia e Ferdinando dalla Calabria raccontano la loro esperienza.

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Il futuro inizia oggi, dipende dalle nostre scelte. Avere un futuro significa riflettere ora, fare discernimento nel quotidiano, non giocare con le possibilità che la vita ci offre.
In questa prospettiva parliamo di orientamento alle scuole superiori, un tema di cruciale importanza a cui ci sembra che non si presti abbastanza attenzione. Arrivati al fatidico momento i ragazzi viaggiano spesso confusi, in balia di opinioni poco chiare e discordanti, che non aiutano. Eppure si tratta di una scelta importante. Probabilmente l’età è uno dei fattori chiave: non essendo ancora del tutto maturi, i ragazzi sbrigativamente cercano di arrivare a un compromesso; ma a volte capita di ritrovarsi, un anno dopo, frustrati da una scuola che non piace.

Abbiamo deciso di raccontarvi le nostre storie in breve, entrambe di due ragazzi del Meridione, non molto diverse.

Silvia, 15 anni, secondo anno del Liceo Linguistico, dalla Diocesi di Catania: ho sempre mostrato interesse per le culture e le lingue straniere, perciò, quando è arrivato il momento di iscrivermi alla scuola superiore, non ho esitato a scegliere il mio liceo, anche su consiglio della mia professoressa di inglese e spinta dal desiderio di poter proseguire i miei studi all’estero una volta uscita dalla scuola superiore. Tutt’oggi non mi pento della scelta che ho fatto perché, essendo quello che mi piace, non mi pesa affatto. Il consiglio che quindi posso dare ai ragazzi che vi si troveranno di fronte, è di scegliere secondo quello per cui si è portati, e guardando a come ci si vede proiettati nel futuro.

Ferdinando, 15 anni, secondo anno di Liceo Classico, dalla Diocesi di Cassano allo Jonio: ricordo di non avere mai nutrito alcun dubbio nella mia scelta. Il Liceo Classico era stato da sempre un obiettivo, e più i miei studi si avvicinavano alla scelta, più mi convincevo che quella fosse la scuola giusta per me. Ho avuto la fortuna di non ricevere alcuna pressione dalla mia famiglia, e di essere consigliato da professori che volevano per me il bene. A due anni da allora, non rimpiango nulla – sono, invece, ogni giorno più felice di varcare la porta del mio Liceo.

Unendo le nostre esperienze e quelle di amici, abbiamo creato una nostra piccola “guida” per scegliere coscienziosamente. Tre punti, ragazzi, da rispettare fedelmente!

  • Raccogliere opinioni per avere uno sguardo a 360°. Innanzitutto chiedete consiglio ai vostri insegnanti: loro vi conoscono e possono aiutarvi partendo dalle vostre inclinazioni. Parlate con studenti, o ex, da diverse scuole. Ascoltate anche ciò che i vostri genitori desidererebbero per voi o pensano sia ideale.
    È importante è che vi consultiate con diverse persone, perché, in quanto personale, il pensiero è condizionato da esperienze individuali.
  • Visitare la scuola. Se e quando possibile, fate una breve visita alla scuola per respirare l’aria che vi state accingendo a vivere nei prossimi cinque anni. Cogliete i particolari che potrebbero aiutarvi a compiere la scelta, gli sguardi di intesa fra gli studenti, le espressioni dei professori e dell’intero personale che vi lavora.
  • Compiere una scelta. Ora siete pronti a decidere. Fatelo con voi stessi, ascoltatevi, non superficialmente, sommariamente: tenete in considerazione i consigli ricevuti, qual è il vostro progetto in un futuro ancora molto lontano, le vostre attitudini, i programmi che le scuole vi offrono.

Ora, ragazzi, possiamo solo dare un ultimo suggerimento: «Riponete la vostra sorte nel Signore; confidate in lui, ed egli agirà». [Salmo 37]

Silvia Scigliano e Ferdinando D’Elia.

Studiare per il bene degli altri

Ancora adesso a distanza di 6 mesi, se chiudo gli occhi e ripenso a quel 10 maggio, a quella Piazza San Pietro stracolma di persone, di studenti, docenti, genitori, operatori scolastici, provenienti da ogni angolo d’Italia, accomunati da quell’unico obiettivo di festeggiare la scuola, il cuore si riempie di gioia e torna il sorriso. Sì, torna il sorriso sulle labbra perché negli sguardi, nei gesti, nell’entusiasmo di quell’infinita distesa di persone si rifletteva quel desiderio di vivere la scuola, di essere veri protagonisti in quella grande comunità in cui ti vengono offerte le opportunità della cultura, della formazione, dell’amicizia, della solidarietà. Si respirava gioia, la pura gioia.

La scuola è una città, un mondo con i suoi pregi e i suoi difetti, con le sue regole e le sue opportunità, con le sue ricchezze. La scuola non ha semplicemente il compito di “trasferire” il sapere, no! Essa apre la mente e il cuore alla realtà e ci insegna a comprenderla meglio; trasmette quella vera educazione che «ci fa amare la vita, ci apre alla pienezza della vita», come ci ricordò quel giorno Papa Francesco. La scuola è sinonimo di apertura alla realtà e proprio perché tale deve promuovere un sapere inteso come perfezionamento dell’intelligenza e della persona. Quest’educazione dell’intelletto rende l’individuo responsabile nei confronti della società; di conseguenza il fine pratico della scuola diviene quello di far crescere buoni membri che andranno a formare, insieme, una società: Uomini che possiedono quella tranquillità di una mente che vive in se stessa, mentre vive nel mondo, e che ha in se stessa le risorse per la propria felicità e libertà. Oggi forse diamo troppo per scontato quello che la scuola è per noi studenti, e per tutti coloro che all’interno di essa operano. E invece non possiamo perder altro tempo! È arrivato il momento di spalancare qualche finestra dopo l’inverno e di sentire l’odore di una nuova primavera, in cui i protagonisti sappiamo essere proprio noi studenti, perché la scuola siamo (anche) noi!

A noi giovani è proibito non interessarsi di quella che è la nostra primaria fonte di libertà, perché il prezzo del disinteresse è un appalto di potere ad altri, da cui si finisce per dipendere: si diventa aridi. Il nostro compito più arduo è quello di “essere insieme” responsabili di una scuola che trova nella passione (di chi la vive) il vero fondamento. Non dobbiamo far altro che farci travolgere dalla scuola che ha la missione di educarci al vero, al buono e al bello, perché solo così saremo in grado di riscoprire quei valori che ci permettono di essere vivi, di vivere. L’amore per la scuola deve divenire la lancetta della nostra bussola; non di certo perché costretti da qualcuno ma proprio perché nel nostro cuore ne sentiamo la necessità! Le parole che papa Francesco ci ha donato con semplicità e dolcezza, in quella giornata piena di sole, non possono passare inosservate. Ogni volta, queste parole mi danno forza, coraggio, entusiasmo, speranza! Scriveva San Bernardo, monaco e grande intellettuale medievale: «Vi sono quelli che vogliono sapere tanto per sapere, e ciò è curiosità; altri perché si sappia che loro sanno, e questo è vanità; altri che studiano per vendere il proprio sapere per denaro o per onori, ed è cosa turpe. Chi vuol sapere per propria edificazione compie un’azione prudente; chi infine studia per il bene degli altri compie opera di carità». Ecco sì, il Santo Padre con quelle parole ci ricorda che ho una missione: essere manifesto di quello che la scuola è, nel suo più profondo significato: studiare per il bene degli altri.

Costanza Tellini
Liceo Scientifico Russell-Newton, Scandicci (Firenze)

Gli studenti, protagonisti attivi nella scuola di Francesco

Questo blog (Non uno di meno) è nato nei mesi precedenti il grande incontro del 10 maggio, per dare voce all’esperienza degli studenti di tutta Italia. Con l’idea che tutti voi, ragazze e ragazzi che oggi vi trovate a scuola, siete il vero cuore della scuola. Così questo spazio è pensato per raccontare esperienze di tutti i giorni, per condividere sogni e fatiche che si vivono dentro le scuole. Tutte le testimonianze sono importanti. Ogni città, ogni scuola, ogni studente qui ha uno spazio per esprimersi. Tutti, non uno di meno.

Le parole che Papa Francesco ci ha donato in quella bellissima festa confermano questa convinzione. Il Santo Padre ha parlato di una scuola che è un grande villaggio. Ricordate quel bel proverbio africano che ripetemmo tutti insieme? «Per educare un figlio ci vuole un villaggio». Così è nella scuola, dove insegnanti, personale e famiglie mettono cura e passione a servizio degli studenti all’interno della grande comunità scolastica. Ma in questo gioco di relazioni, gli studenti non sono dei protagonisti passivi. Tutt’altro!

Pensiamo alle quattro immagini che Francesco ci ha consegnato. Lui ama la scuola per il ricordo dell’amicizia che ha instaurato con la prima insegnante. Un rapporto durato tutta la vita, perché entrambi i protagonisti, lo studente Bergoglio e la maestra, si sono messi in gioco nella scuola con passione e rispetto reciproco. Poi, il Papa ama la scuola perché è «luogo di incontro». Possiamo scegliere come vivere l’incontro con gli altri: se con freddezza e disinteresse, perché in fondo ci importa solo il voto in pagella; o se piuttosto con il nostro calore umano, per trasmettere anche ai compagni «la gioia del Vangelo» che «riempie il cuore e la vita intera» (Evangelii Gaudium, 1). Ancora, il Papa ama la scuola che «apre alla realtà»: e chi meglio degli studenti può portare dentro la scuola la realtà di un mondo che cambia, che sentiamo cambiare nel concreto delle nostre vite di studio, amicizia, impegno? Infine, il Papa ama la scuola perché «educa al vero, al bene, al bello». E mai come nell’età della scuola sentiamo forte il desiderio di verità, di bene comune e di bellezza, da ricercare nello studio e da condividere con i compagni e gli insegnanti.

E allora, la parola ai protagonisti della scuola, gli studenti. Spazio ai vostri racconti, nessuno escluso. Anzi: non uno di meno!

Gioele Anni

Il Papa incontra la scuola…e noi c’eravamo!

Mettersi in viaggio alle 5 di un sabato mattina non è facile: hai bisogno di un sogno che sia più forte del sonno. Non è altrettanto facile stare fermi in un pulmino per tante ore, aspettare facendo la fila davanti a una transenna senza capirne il motivo, mentre la folla si accalca e nemmeno stare sotto il sole di una giornata che sa più di estate che di primavera. Non è stato facile ma ne è valsa la pena. “Ne è valsa la pena” sono le prime parole che riecheggiavano sulle labbra dei ragazzi al termine dell’evento di Piazza San Pietro.

I motivi sono tanti e ognuno ha i suoi. “Tanta gente così tutta insieme non l’avevo mai vista” è una delle cose che ha colpito di più Felix. “Mi è piaciuto – dice Alejandro – il fatto che all’inizio cantavamo e ballavamo ma poi si è passati a discorsi sulla scuola: siamo fortunati ad avere una scuola così organizzata rispetto ad altri paesi del mondo”. Un punto di vista quanto meno anomalo sulla bocca di uno studente.

Prima dell’intervento del papa, la testimonianza che più è piaciuta ai ragazzi dell’oratorio don Bosco di via Adua è stata quella di Yuri Chechi. “Meglio una sconfitta pulita di una vittoria sporca”, sono queste le parole rimaste impresse a loro e non a caso ripetute da Papa Francesco. Uno dei ragazzi mi ha confidato che vincere è bello ma chi vince imbrogliando non può ricevere quella gioia grande di chi vince pulito.

Riguardo a papa Francesco “nessuno di noi aveva mai visto il papa così da vicino e anche la sua voce ti raggiungeva in maniera più diretta: è tutta un’altra cosa”, “un uomo semplice, dai movimenti disinvolti che trasmettevano tranquillità”, “ha salutato tutti andando fino in fondo a via della Conciliazione”, “è un modello di umiltà”, “essere così vicino a lui mi ha fatto sentire importantissimo”.

Fra le parole del papa, semplici e comprensibili da tutti, qualcuno è rimasto colpito di come Francesco fosse rimasto in contatto con la sua insegnante anche una volta terminata gli studi. Proprio lei gli aveva trasmesso la bellezza della scuola.

Un’esperienza ricca ed entusiasmante come questa non può rimanerlo anche nel domani se non si impara a rileggerla, a farne tesoro, a capire cosa ha da dire a tutti gli altri giorni che seguiranno e che si inseguiranno nella routine di tutti i giorni. Pertanto, “due sono le cose mi porto a casa. La prima è di essere cosciente della fortuna che ho nel poter avere un’istruzione, un’opportunità che non posso permettermi di sprecare. La seconda è che dal lato spirituale l’incontro con papa Francesco non mi ha fatto sentire inferiore a lui come all’inizio credevo: ho percepito una sensazione di pari dignità con lui anche se egli è al vertice della Chiesa”.

Le risonanze dei ragazzi sarebbero ancora tante e non è possibile scriverle tutte, anche perché quelle più profonde rimarranno nell’intimo di ciascuno e sono convinto che porteranno molto frutto. Di certo quello che in sintesi si può dire che è che hanno visto una Chiesa bella, dai gesti accoglienti, dal volto sorridente, dai pensieri profondi e soprattutto di un papa povero fra i poveri, semplice fra i semplici, vicino ai lontani, amico di tutti, i cui occhi brillano di fede e di gioia. Insomma un incontro con una persona speciale, pieno di attenzione verso tutti e che ricorda a ciascuno che è degno di essere amato.

Francesco Santarello
Educatore
Oratorio don Bosco di via Adua, Reggio Emilia

Qualche buona notizia dai test PISA

L’Italia, sebbene rimanga ancora al di sotto della media OCSE, è uno dei Paesi che ha registrato i più notevoli progressi nell’apprendimento della matematica e delle scienze. Questo è quel che dicono i risultati dei test PISA (Programme for International Student Assesment) condotti nel 2012 (le rilevazioni vengono fatte ogni tre anni a partire dal 2000) su un ampio campione di quindicenni di quarantaquattro Paesi, prendendo in esame le competenze in matematica, scienze, lettura e problem solving.
Il risultato medio in matematica degli studenti italiani, paragonabile a quello di Paesi come Russia, Stati Uniti, Norvegia, Spagna e Portogallo, è in crescita di ben venti punti (numeri assoluti) rispetto alla rilevazione del 2003, con un’impennata tra 2006 e 2009. Le maggiori difficoltà sono state rilevate nelle prove in cui si chiedevano formulazioni matematiche, mentre i risultati si sono mostrati in linea con quelli internazionali laddove venivano richieste interpretazioni, applicazioni e valutazioni. Purtroppo sono vistose le differenze territoriali: i ragazzi del Triveneto hanno ottenuto risultati superiori, e non di poco, non solo alla media nazionale, ma anche a quella OCSE. Anche la discrepanza tra maschi e femmine desta qualche preoccupazione: i maschi hanno fatto 18 punti in più delle femmine, rispetto agli 11 registrati negli altri Paesi. Il dato si ribalta per quanto riguarda invece la lettura, confermando un antico stereotipo: le ragazze hanno totalizzato 39 punti in più, ma il dato è in linea con i 38 della media OCSE. Nella lettura i ragazzi lombardi, veneti e trentini superano però di molto il dato internazionale.
Dopo queste considerazioni di carattere tecnico, la relazione presenta qualche nota che si potrebbe definire politica: la spesa pubblica italiana per la scuola è diminuita dell’8% tra il 2001 e il 2010, e nel destinare all’istruzione meno danaro siamo in compagnia soltanto di Islanda e Messico. Qualche ragionamento andrebbe però fatto anche su come questi soldi vengono investiti: i nostri 50.000 dollari a studente sono pari a quelli di Singapore, ma in matematica i nostri ragazzi hanno preso 485 punti, nell’isola 573.
A proposito di spese, l’OCSE nota che le nostre scuole godono di troppo poca autonomia, non avendo modo di incidere, per esempio, sul rendimento e la condotta dei propri docenti. È uno spunto per chi crede nella libertà dell’educazione, specie alla luce del grande divario che c’è non solo da regione a regione, ma anche da scuola a scuola, con la tendenza perciò a creare ghetti. Solo il 69% degli studenti è soddisfatto della propria scuola: negli altri Paesi è il 78%. Alti sono i tassi d’assenteismo e i ritardi alle lezioni, con maggiore incidenza fra gli studenti più fragili dal punto di vista socio-economico, il 18,4% della popolazione scolastica; il 17% dei nostri quindicenni ha ripetuto almeno un anno, rispetto al 12% dell’estero.
C’è poi un dato che potrebbe destare qualche curiosità. Siamo sopra la media OCSE per l’iscrizione alle scuole materne, dal momento che solo il 4% dei nostri studenti non le ha frequentate, rispetto al dato internazionale del 7%: parrà strano, ma chi ha fatto l’asilo ha ottenuto 25 punti in più nelle prove di matematica sostenute a 15 anni rispetto a chi all’asilo non era andato, segno che la predisposizione a imparare ha radici profonde.

Ulteriori informazioni si possono reperire qui

Scuola tocca a te!

di Giovanna Ferrara, di Aversa.
Liceo socio-psicopedagogico “Niccolò Jommelli”

Christian era un ragazzo. Christian era un ragazzo come tutti gli altri, con i propri sogni, le proprie speranze e aspirazioni. Erano gli anni Novanta e aveva sedici anni, quando decise di abbandonare la scuola e lo studio per poter lavorare e sentirsi grande.
«Farai soldi, sarai libero», gli dicevano.
La vita, però, non andò proprio così; con l’evoluzione della società, della tecnologia e delle varie aziende, chi non possedeva un titolo di studio superiore non poteva neanche avvicinarsi a un posto decente di lavoro.  Christian andò avanti a lungo, alternando vari lavori part-time e senza impegno.
E ora? Ora come sta Christian?
È stato illuso da sogni troppo vaghi e tradito da una scuola troppo insicura. Non ha fatto soldi, non li ha neanche mai visti. Dovreste vederlo, nei pressi della stazione, vestito con la tuta sporca di pittura, illudendo la gente del paesino e persino sua moglie. Non ha raggiunto la sua amata libertà, perché è stato lasciato all’oscuro di tutto, dell’immensità del mondo e della cultura. E’ un uomo, ormai, senza più alcuna voglia di scoprire il mondo.
Quanti uomini del genere, oggigiorno, ci circondano? Quanti sguardi vuoti e disperati alle prese con una società che tende a emarginare chi non sa? E noi? Sì, noi, cosa facciamo per aiutarli? A noi che la vita è relativamente più semplice e la scuola si avvicina sempre di più alla nostra realtà, perché continuiamo a evitare la possibilità di conoscere ed essere realmente liberi?
Scuola, tu che ruolo hai in tutto questo?
Scuola, tu che hai vissuto fin dall’antichità tutti i processi evolutivi sia dell’uomo che della società, come reagisci a quest’abbandono per una vita migliore che, in fin dei conti, non avverrà mai?
La scuola è il secondo ente di comunicazione con il quale il bambino, nel corso della sua vita, entra in contatto. La maggior parte delle esperienze, si fanno proprio in quel luogo. E’ proprio lì che il bambino, l’adolescente e, successivamente, il giovane adulto, passa la maggior parte del tempo e fa le proprie esperienze. I giovani, gli studenti, ne sono i protagonisti. Sono loro che vivono le frustrazioni date dallo stress, la paura di non essere mai abbastanza, ma anche la gioia di ottenere dei risultati. La scuola, quella con la “S” maiuscola, è capace di influenzare un’intera generazione, creando giovani folli, curiosi di sapere, che un giorno andranno con uno zaino in spalla a vedere il mondo. I giovani della scuola sono coloro che un giorno saranno in grado di rivoluzionare la società, perché solo gli studenti possono farlo e il 1968 ne è un esempio concreto.
Scuola, a meno di un mese dall’incontro tra il Papa e gli studenti, non perdere la possibilità di avvicinare quanti più giovani possibili. Proprio come il figliuol prodigo torna al padre pentito, permetti a coloro che sanno di aver sbagliato, di poter rimediare. Sii come quei servi che nel vangelo di Matteo, mandati dal Re per invitarli alle nozze del figlio, si diressero ai crocicchi delle strade e chiamarono tutti quelli che trovarono. Chiama tutti e aiuta il più possibile, formare e informare, ecco il tuo compito!
Proprio come uno studente, durante la scorsa SFS (Scuola di Formazione Studenti) organizzata dal Movimento Studenti di Azione Cattolica, scriveva:
«Ehi tu, scuola che verrà, ricorda sempre che esisti per uno scopo, una meta importantissima, che è l’accrescimento personale, il sapere. Ricordati di curare la formazione dei tuoi studenti, credendo in loro e nelle loro potenzialità. Ricordati che il tuo compito è appassionare e non angosciare. Ricordati di essere luogo di incontro e di formazione».
E tu, studente, cerca di avvicinarti alla Scuola, di riuscire ad assorbire quell’entusiasmo del sapere e del conoscere, perché solo così raggiungerai la tua libertà e sarai in grado di amare senza giudicare.

Ragazzi, studiate!

di Giuliana Jicmon di Roma
Liceo delle scienze umane Gelasio Caetani

«Ragazzi: Studiate. Anche se nella vita è meglio furbi che colti. Anzi: proprio per questo. Per non arrendersi a chi vi vorrebbe più furbi che colti. Perché la cultura rende liberi, critici e consapevoli. Non rassegnatevi a chi vi vorrebbe opportunisti e docili e senza sogni. Studiate. Meglio precari oggi che servi per sempre». (Ilvo Diamanti)

La cultura rende liberi, critici e consapevoli e la scuola è uno dei migliori strumenti esistenti che ci permette di studiare, di crescere mentalmente ma soprattutto ci permette di sognare! Sognare di diventare un giorno un bravo avvocato, oppure un grande medico, la scuola ci rende liberi di volare con la fantasia, dona a noi le redini del nostro futuro! A volte è difficile vivere la scuola come luogo in cui instaurare relazioni serene, è difficile considerarla come una seconda casa ed è difficile viverla come strumento di vita, ma la scuola è ciò che di più bello abbiamo! Noi ragazzi e giovani abbiamo il dovere e il diritto di difenderla con i denti e con le unghie, di richiedere e pretendere di essere ascoltati di renderla migliore giorno dopo giorno e soprattutto di trarre da essa tutto ciò che di meglio c’è! Imparare ad abitarla insieme è forse uno dei modi migliori per dimostrare a tutti, grandi e piccoli, poveri o ricchi, di tutti i paesi, che la comunione e la condivisione è fatta di piccole cose. La scuola è il ponte che fa da tramite con la vita esterna, deve essere incoraggiata e spronata a dare sempre di più così che continui a formare giovani intelligenti e determinati, cittadini consapevoli e attivi, uomini e donne pronti a mettersi in gioco per migliorare la propria città, il proprio paese e il mondo intero.

Non possiamo fare a meno di accettare la sfida che il nostro tempo ci lancia: vivere la scuola da protagonisti, felici e credenti, consapevoli e credibili, portatori di uno stile che ci contraddistingue: lo stile dell’Amore! Per portare un po’ di Chiesa nella scuola c’è bisogno di questo nuovo stile, c’è bisogno che qualcuno si metta in gioco, che qualcuno ci metta la faccia. Per portare un po’ di Chiesa nella scuola c’è bisogno di noi. E per portare un po’ di scuola nella Chiesa, c’è bisogno di noi!